Le competenze richieste

STEM: urgenza di competenze

L’acronimo STEM, dall’inglese “science, technology, engineering and mathematics” (in precedenza anche SMET) è il termine che si usa per indicare le discipline scientifico-tecnologiche come scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, e i relativi corsi di studio.

I dati Eurostat indicano che in tutta Europa, ogni anno, solo 2 milioni di laureati in materie STEM completano l’istruzione terziaria, il che significa 17,4 laureati STEM ogni 1.000 giovani.

Nonostante queste ridotte percentuali, è evidente la necessità di competenze di questo tipo: il mondo del lavoro vuole specialisti con formazione tecnico-scientifica (che sono anche i meglio retribuiti), ma mancano i candidati. Nel nostro Paese la maggior parte delle imprese ha già lamentato difficoltà a trovare personale con formazione STEM, un trend che si riconferma a livello europeo raggiungendo il 55% di imprese che dichiarano la stessa difficoltà.

Nella generale carenza, le donne sono ancora in minoranza e rappresentano solo il 34% dei laureati in Europa.

Perché in Italia mancano le competenze STEM
Alla base c’è un tema culturale e di stereotipi: tradizionalmente, infatti, le materie scientifiche sono percepite come un mondo a parte rispetto al resto dei curriculum didattici e c’è una separazione piuttosto netta tra le materie scientifiche e quelle umanistiche.

Mentre l’ambito umanistico è sentito come parte della cultura generale diffusa, le discipline scientifiche sono spesso considerate come argomento riservato agli specialisti o agli addetti ai lavori.

Le conseguenze non si riscontrano solo sui banchi di scuola: il primo effetto è la bassa quota di giovani laureati nelle discipline STEM, il secondo è un allargamento delle disparità di genere. Gli stereotipi sociali, infatti, fanno sì che le studentesse siano una minoranza nei percorsi scientifici, anche se qualcosa lentamente sta cambiando.

Quante sono le donne scienziate e ingegnere

Nel 2021 erano 6,9 milioni le scienziate e ingegneri donne nell’UE, 369.800 in più rispetto al 2020, pari al 41% dell’occupazione totale nel settore scientifico e ingegneristico.

Tra gli Stati europei , la percentuale di donne STEM varia notevolmente da Paese a Paese: le quote più elevate sono state registrate in Lituania (52%) e Bulgaria, Lettonia e Portogallo (tutte al 51%) e le più basse in Lussemburgo (35%). Germania e Italia si attestano entrambe al 34%, Ungheria al 33% e Finlandia al 31%.

Le differenze si riscontrano anche a seconda dei settori di occupazione. Se nei servizi si arriva quasi all’equilibrio di genere (con il 46% di quote rosa), nel comparto del trasporto aereo le donne rappresentavano il 28%, mentre nel manifatturiero solo il 21%. Le percentuali più basse si registrano nel settore del trasporto per vie d’acqua (8%), della fabbricazione di mezzi di trasporto (12%) e degli autoveicoli (13%).

In tutti i casi, le donne sono sicuramente un potenziale inespresso nella forza lavoro.

Le prospettive per il prossimo futuro

Nei prossimi anni l’Italia, come tutti gli altri stati dell’Unione europea, sarà impegnata nella transizione digitale, ambientale, sociale ed economica, per ridurre i tanti gap tecnologici interni al paese.

Una sfida che, per essere raggiunta, avrà bisogno proprio di figure STEM e di formare profili professionali specialistici, sempre più richiesti nel mondo del lavoro. Tra le soft e hard skill fondamentali, per esempio, ci saranno l’abitudine al pensiero logico e computazionale, una conoscenza dei linguaggi di programmazione e anche della robotica.

La soluzione deve partire dalla scuola, certamente, ma può arrivare anche da percorsi di formazione offerti da organizzazioni informali, quali, per esempio, boot camp, programmi accademici, hackathon.

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  • Io sono stato sempre appassionato di videogiochi fin da piccolo, ho sempre giocato alle console dalla playstation 1 alla playstation 5. Mi manca solo il PC da gaming. A me mi piacerebbe un giorno lavorare come programmatore di videogiochi.

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