di Lorenzo Cavalieri Manager Partner at Sparring
La rivoluzione digitale amplificata da un anno di remote working forzato ha messo i social network sempre di più al centro della nostra vita lavorativa.
Top manager e stagisti, professori e artigiani, liberi professionisti, imprenditori, venditori, siamo tutti nel frullatore dei social per dialogare con i nostri colleghi e con i nostri clienti.
Impazzano le scuole che insegnano a trovare il giusto “tono di voce” sui social, a comporre il post perfetto su LinkedIn, a commentare in modo intelligente ciò che dicono gli altri, a scegliere le immagini perfette. In molte aziende viene consigliato “caldamente” ad alcune categorie di dipendenti di coltivare il proprio personal brand sui social, creando e condividendo contenuti per sviluppare follower (che dovrebbero essere potenziali clienti).
Insomma viviamo in uno strano mondo del lavoro in cui tutti non solo facciamo qualcosa, ma dobbiamo anche “raccontarla”; di giorno faccio, di sera racconto e condivido come fossi l’editore, il portavoce, l’ufficio stampa di me stesso.
Personalmente comincio a credere che questo modello di vita professionale non ingaggi tanto l’ambito delle competenze, quanto piuttosto soprattutto l’ambito psicologico. Questo almeno è quello che sto sperimentando personalmente.
Tutte le volte che entro nel magico mondo dei social percepisco un leggerissimo stato di agitazione che scompare immediatamente quando procedo al logout.
Credo sia la stessa emozione che ci pervade quando attraversiamo una piazza affollata di conoscenti (non tutti amici) e quando rientriamo a casa e ci togliamo le scarpe (il nostro “logout”).
Sempre sul versante emotivo/psicologico stare su un social significa adrenalina per un mi piace o un commento positivo e frustrazione per un post non apprezzato o per un invito alla connessione non raccolto.
Parlando con tante persone che cercano un nuovo lavoro o cercano di “vendere il proprio lavoro” mi convinco sempre di più che muoversi bene sui social non sia una questione di “tecnica”, ma di “tratti di personalità”.
Ti puoi sforzare, puoi conoscere alla perfezione le funzionalità della piattaforma e degli algoritmi, i codici comportamentali e le abitudini d’uso del tuo network, ma se c’è qualcosa che non ti fa sentire “a posto” nella piazza virtuale non riuscirai mai a essere efficace al 100%.
E’ molto importante avere consapevolezza di questa dimensione psicologica del lavoro sui social. Ci sono infatti tanti aspetti delicatissimi della nostra personalità che vengono ingaggiati:
- Quanto riesco a parlare di me senza sentirmi in imbarazzo da un lato o senza diventare un insopportabile narciso autoriferito dall’altro?
- Quanto sono disposto ad accettare il giudizio degli altri?
- Quanto riesco a tenere a bada l’ansia del confronto con gli altri?
- Quanto riesco a tenere a bada l’ansia della “promessa di valore” (ti dico che sono bravissimo o che il mio prodotto è eccezionale ma poi ho paura che gli altri scoprano che non è veramente così)?
- Quanto sono sicuro delle mie posizioni e delle mie affermazioni?
- Quanto credo che la mia voce possa contare davvero nel frastuono di un coro sterminato?
- Quanta distanza devo tenere dagli altri (ti dò del tu o del lei? ti dico in modo brutale ciò che penso o con un giro di parole?)
- Quanto temo di disturbare gli altri taggandoli e chiamandoli in causa?
- Quanto sono incline a cadere nell’invidia competitiva (“ma guarda questo cretino quanti follower ha”)?
Sono solo alcuni esempi per spiegare che purtroppo o per fortuna la propria efficacia “in piazza” per il 90% dipende da come siamo fatti e non dalle competenze (digitali e linguistiche) che abbiamo.
Che fare allora se non ci sentiamo ok “in piazza”? Non possiamo rinunciare a uscire.
I social sono ormai un luogo di lavoro fondamentale ed è difficile pensare che cessino di esserlo. Viviamo in un mondo iper competitivo dove le visualizzazioni o i follower contano e comprano.
In futuro magari avremo tanti social diversi, ciascuno fatto di persone che si assomigliano sempre di più tra di loro, piazze più piccole e confortevoli. Oggi però dobbiamo lavorare con i canali di comunicazione che ci sono.
Non esistono bacchette magiche. Dobbiamo con pazienza e fatica trovare il nostro passo, il nostro tono di voce, il nostro “gruppetto” e il nostro piccolo angolo di piazza. Soprattutto dobbiamo trovare un tema, un argomento che ci appassioni davvero, tanto da farci pensare di meno a noi stessi e da temere di meno il giudizio degli altri.
I guru del marketing ma soprattutto la nostra esperienza di ex adolescenti ci dicono che il successo, ma soprattutto il benessere, arrivano quando smettiamo di preoccuparci di ciò che gli altri potrebbero pensare di noi.
Mi godo la passeggiata in piazza senza pensare troppo a chi c’è e a cosa fa chi c’è. Solo così possiamo trovare la nostra autenticità e incarnare la migliore versione di noi stessi.
Lorenzo Cavalieri
Forse è il momento di dare un’occhiata al tuo CV.
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Mi piacciono le ultime espressioni che dai
Cristian, utilizzi anche tu spesso i social?
Lavoravo in un ufficio commerciale e vendevo gli obsoleti tramite social.
Un milione di euro di pezzi vari all anno.
E’ questione di istinto.
Pazienza. Umiltà e sincerità.
Grazie per il tuo commento Laura.