Dopo la pandemia, molte persone hanno rivisto in maniera sostanziale il proprio approccio al lavoro. Tutti noi abbiamo sentito parlare di fenomeni come le “Grandi Dimissioni”, o il “Quiet Quitting”, termini che i media hanno coniato per rappresentare le conseguenze di un diverso modo di interpretare noi stessi “al lavoro”.
D’altra parte, la pandemia stessa ci ha fatto vedere come sia possibile rivoluzionare, grazie alla tecnologia, il nostro rapporto con lo “spazio di lavoro” e il “tempo di lavoro” stesso, sperimentando modelli organizzativi sostanzialmente nuovi, in cui il rapporto tra retribuzione e prestazione si sposta dal tempo agli obiettivi.
Inoltre, lo scoppio della guerra in Ucraina ha cambiato lo scenario macroeconomico, causando un forte aumento dell’inflazione cui le autorità monetarie internazionali hanno risposto con un sensibile incremento dei tassi di sconto, che ha avuto un impatto sulle rate dei mutui, aggravando la perdita di potere di acquisto delle famiglie.
Nonostante tutto, gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da una forte ripresa, che ha portato grande vivacità nel mercato del lavoro. La domanda da parte delle imprese non riesce ad essere soddisfatta, con il risultato che molti lavoratori con elevate competenze si sono trovati in mano un potere contrattuale che non avevano mai avuto.
Quali conseguenze stanno avendo questi fenomeni sulle retribuzioni? In altri termini, ci sono dei cambiamenti nel “valore” monetario che persone e aziende danno al lavoro? La pressione dell’inflazione ha innescato una dinamica di aumento dei salari? Per quali figure?
Come ogni anno, l’Osservatorio JobPricing pubblica il Salary Outlook, uno studio che analizza da diversi punti di vista il mercato delle retribuzioni.
Da molti anni l’aumento degli stipendi su base annua è trascurabile e tendenzialmente inferiore all’inflazione, con il risultato che il potere di acquisto dei lavoratori italiani, negli ultimi 30 anni, è addirittura calato. Il 2022 da questo punto di vista non fa eccezione, anche se la variazione degli stipendi ha subito una accelerazione sensibile.
Quali sono i motivi di questa situazione? Il primo, è più evidente, è l’inflazione stessa, ma non è il solo. Andando in un maggiore dettaglio dei dati, si notano alcune dinamiche interessanti.
Nella tabella che segue è riportato lo spaccato delle variazioni delle retribuzioni fisse (RAL) verso il 2021.
RAL | 2021 | 2022 | TREND 2021-2022 |
Dirigenti | 101.649 € | 103.418 € | 1,7% |
Quadri | 54.519 € | 55.632 € | 2,0% |
Impiegati | 30.836 € | 32.174 € | 4,3% |
Operai | 24.787 € | 25.522 € | 3, 0% |
TOTALE | 29.301 € | 30.284 € | 3,4% |
Come si vede, il miglioramento più consistente si rileva fra operai e impiegati. Questo probabilmente è un indice di due fenomeni: da una parte, come detto in precedenza, le persone sono sempre meno disponibili ad accettare lavori con condizioni che ritengono non soddisfacenti e non eque, dall’altra la difficoltà nel coprire le posizioni vacanti a tutti i livelli ha spinto molte imprese ad offrire retribuzioni più elevate per vincere la concorrenza.
Inoltre, la trasformazione digitale ha portato qualche vantaggio alle generazioni più giovani, più attrezzate dal punto delle competenze ad adottare le tecnologie di oggi anche nel lavoro. Si tratta di un fenomeno di “catching up” generazionale che osserviamo da alcuni anni.
CLASSE DI ETA’ | 2021 | 2022 | TREND 2021-2022 |
15-24 anni | 23.213 € | 24.588 € | 5,9% |
25-34 anni | 25.796 € | 27.028 € | 4,8% |
35-44 anni | 28.788 € | 29.831 € | 3,6% |
45-54 anni | 31.362 € | 31.926 € | 1,8% |
Più di 55 anni | 33.303 € | 34.057 € | 2,3% |
TOTALE | 29.301 € | 30.284 € | 3,4% |
Come si vede nella tabella, a conferma di questo, le persone con meno di 35 anni hanno crescite retributive ben superiori a quelle degli over 45. Sebbene il valore dell’”esperienza”, che si riassume nel differenziale retributivo tra giovani e meno giovani (“generation pay gap”) sia ancora molto significativo, le distanze si stanno accorciando velocemente.
Un ultimo elemento interessante riguarda la situazione delle donne: è noto che in tutte le economie del mondo si rileva il cd. “gender pay gap”, cioè un differenziale retributivo a parità di ruolo e condizioni, sempre a sfavore delle donne. L’Italia non è da meno. Pur facendo parte di un gruppo di paesi, quelli dell’Europa Occidentale, meno lontani dalla parità di altri, è tra i fanalini di coda dell’Unione Europea.
GENERE | 2021 | 2022 |
Uomini | 30.627 € | 31.286 € |
Donne | 27.188 € | 28.565 € |
TOTALE | 29.301 € | 30.284 € |
GENDER PAY GAP | 11,2% | 8,7% |
I dati del 2022 ci dicono però qualcosa di nuovo: le retribuzioni delle donne nell’ultimo anno sono cresciute più velocemente di quelle degli uomini, e il pay gap si è ridotto dall’11,2% all’8,7%. Non c’è tanto da rallegrarsi: significa comunque che una donna che lavori dal 1° gennaio comincia a percepire uno stipendio dal 2 febbraio, anziché da inizio anno come il suo collega maschio.
Quali sono le cause di questo positivo cambiamento? Probabilmente in parte sono da ricercare negli stessi fenomeni già citati, ma c’è un’altra considerazione da fare: le variazioni occupazionali che hanno sconvolto la nostra economia durante la pandemia hanno colpito soprattutto le donne, specie nei settori del turismo e dei servizi (non a caso si è parlato di “she-cession”, cioè di recessione al femminile). La ripartenza seguita alla fine dell’emergenza sanitaria ha riassorbito molte di queste persone, probabilmente a condizioni migliori rispetto a quelle precedenti. Come molti studi hanno dimostrato, soprattutto fra le donne si è fatta avanti la richiesta di condizioni di lavoro migliori, più dignitose e più eque anche dal punto di vista delle retribuzioni.
In conclusione, il mercato del lavoro sta cambiando, persone e aziende stanno ripensando i modelli che ci hanno accompagnato per tanti anni, e questo non potrà che avere un effetto ulteriore sulle retribuzioni.
Speriamo tale effetto sia positivo!
Articolo molto interessante e fatto in modo intelligente ed esaustivo. Bravi !