Le norme

Licenziamento e dimissioni per giusta causa: come funzionano

A volte lavorare è davvero difficile. Lo sappiamo tutti: ci sono giornate pesanti, colleghi complicati, situazioni stressanti che fanno parte della normalità. Ma poi ci sono anche casi in cui non è solo questione di stress o di un brutto periodo: il lavoro diventa davvero insostenibile, fino a compromettere il benessere personale, la salute e i propri diritti. 

In questi casi, le dimissioni per giusta causa non sono una fuga, ma una scelta necessaria per tutelarsi. Sono uno strumento previsto dalla legge che permette di chiudere un rapporto lavorativo problematico senza perdere ciò che spetta: la NASpI, il TFR e l’indennità di mancato preavviso. È un modo per dire basta a una situazione che ha superato il limite, senza rinunciare alla propria dignità né alla protezione economica che la legge garantisce.

Allo stesso modo, il datore di lavoro in casi particolarmente gravi può ricorrere al licenziamento per giusta causa. Vediamo di cosa si tratta.

 

Cos’è il licenziamento per giusta causa

Il licenziamento per giusta causa è la forma più immediata e drastica di recesso dal rapporto di lavoro prevista dall’articolo 2119 del Codice civile. Può essere disposto dal datore di lavoro quando un comportamento del lavoratore è talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto anche temporaneamente, obbligando l’azienda ad agire senza preavviso. Tale fattispecie abbraccia violazioni contrattuali gravissime, come furto, insubordinazione reiterata, lesione della fiducia, minacce o falsità documentali. In caso di contestazione illegittima, il lavoratore può impugnare il licenziamento e ottenere il reintegro o un risarcimento.

 

Qual è la differenza tra dimissioni e licenziamento per giusta causa

Mentre il licenziamento per giusta causa è un atto unilaterale del datore di lavoro, le dimissioni per giusta causa rappresentano la risposta del lavoratore a una situazione così insostenibile da impedire la prosecuzione del rapporto. 

Ebbene sì, un lavoratore può licenziarsi per giusta causa. Questo significa che può interrompere il rapporto di lavoro senza dover rispettare i tempi di preavviso, in situazioni in cui il datore di lavoro non consente la prosecuzione del lavoro, ad esempio a causa di mancato pagamento dello stipendio, mobbing o comportamenti lesivi della dignità del lavoratore. 

Le dimissioni per giusta causa (anche chiamate dimissioni in tronco) sono un caso particolare di dimissioni in cui il lavoratore ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, oltre alla conservazione di tutele come la NASpI. 

In entrambe le situazioni, la risoluzione è immediata, ma mentre nel licenziamento il datore agisce, nelle dimissioni è il lavoratore a scegliere di recedere.

 

Cosa si intende per giusta causa

Il concetto di giusta causa presuppone un’inadempienza talmente grave da distruggere la fiducia tra le parti. L’articolo 2119 non limita la causa a violazioni contrattuali: può derivare anche da atti esterni che rendono intollerabile la prosecuzione del rapporto. 

Per il licenziamento, ciò significa che la gravità del fatto impedisce ogni soluzione alternativa al recesso immediato; analogamente, per le dimissioni, condotte come mancato pagamento della retribuzione, molestie o trasferimenti ingiustificati rientrano tra le cause che giustificano la rottura. 

 

Come licenziarsi per giusta causa

Per le dimissioni per giusta causa è necessario presentare un modulo telematico sul portale del Ministero del Lavoro, autenticandosi con SPID o CIE e specificando la tipologia “per giusta causa”.
Successivamente, bisogna  inviare il modulo al proprio datore di lavoro tramite PEC e alla DTL territorialmente competente tramite posta elettronica ordinaria. La compilazione del modello telematico, validato dal datore di lavoro, dovrà essere successivamente trasmessa all’INPS e corredata da tutta la documentazione che attesta i motivi delle dimissioni, al fine di ottenere il beneficio NASPI.
La procedura può essere attivata sia da un lavoratore che opera in autonomia, sia da un lavoratore assistito da patronati, organizzazioni sindacali, enti bilaterali o commissioni di certificazione.
Le dimissioni diventano efficaci immediatamente e, nei sette giorni successivi, possono essere revocate. Il lavoratore potrà quindi accedere a NASpI e all’indennità sostitutiva del preavviso, qualora ne abbia diritto.

 

Quali sono le giuste cause per licenziarsi

Tra le circostanze che legittimano un lavoratore a presentare le dimissioni per giusta causa rientrano situazioni particolarmente gravi e pregiudizievoli per la dignità o per la sicurezza economica e professionale. 

Un caso frequente è il mancato pagamento dello stipendio, che può manifestarsi sia come ritardo sistematico sia come totale omissione della retribuzione dovuta. Altrettanto grave è il mancato versamento dei contributi previdenziali, elemento che compromette la futura pensione e la tutela sociale: consigliamo di leggere il nostro articolo su: cosa succede se l’azienda per cui lavori non effettua la ritenuta IRPEF.
Tutte le trattenute e i contributi sono scritti chiaramente nella busta paga (qui spieghiamo come leggerli).

Le dimissioni per giusta causa sono inoltre giustificate in presenza di comportamenti vessatori o lesivi da parte del datore di lavoro o di colleghi, come episodi di mobbing, molestie sessuali, ingiurie o violenze fisiche e psicologiche. 

Anche cambiamenti peggiorativi delle condizioni contrattuali, come un demansionamento privo di motivazioni valide o un trasferimento non giustificato, possono costituire motivo di interruzione del rapporto di lavoro. 

Infine, qualora il datore di lavoro richieda l’esecuzione di attività illecite, il lavoratore è pienamente legittimato a rassegnare le dimissioni per giusta causa senza dover rispettare il periodo di preavviso.

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