Il TFR, acronimo di “trattamento di fine rapporto”, è quella somma che ogni lavoratore dipendente accumula durante la propria carriera e che viene liquidata al termine del rapporto di lavoro. Abbiamo già spiegato come richiederlo in anticipo e anche come è tassato. Fino a oggi, ognuno ha potuto decidere se lasciarlo in azienda o destinarlo a un fondo pensione complementare.
Ma dal 2026, questa libertà di scelta potrebbe cambiare per chi inizierà un nuovo impiego. È infatti allo studio una proposta che renderebbe obbligatorio il versamento del TFR nei fondi pensione per i neoassunti, un’idea su cui il Governo sta ragionando in vista della Legge di Bilancio 2026. Nulla è ancora definitivo, ma la direzione sembra chiara: spingere di più sulla previdenza integrativa per alleggerire la pressione sul sistema pensionistico pubblico.
La proposta del Governo per il 2026
L’ipotesi di cui ha parlato il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, in vista della Manovra di bilancio 2026, prevede che i lavoratori assunti a partire dal 2026 non potranno più scegliere di lasciare il TFR in azienda, ma dovranno destinarlo automaticamente a un fondo pensione, sia esso di categoria o aperto.
L’obiettivo dichiarato è duplice: da un lato rafforzare la previdenza complementare in un Paese dove, ad oggi, solo circa un terzo dei lavoratori vi aderisce; dall’altro, ridurre il peso futuro delle pensioni pubbliche in un sistema demografico che invecchia rapidamente.
Naturalmente, si tratterebbe di una novità che riguarda solo i nuovi contratti di lavoro. Chi è già assunto continuerebbe ad avere la possibilità di scegliere se mantenere il TFR in azienda o investirlo in un fondo. Tuttavia, se la misura dovesse passare, segnerebbe un cambiamento importante nella cultura previdenziale italiana, spingendo verso una maggiore responsabilità individuale nella costruzione della pensione di domani.
Per ora si tratta di una proposta al vaglio del Governo: l’approvazione, o l’eventuale modifica, arriverà con la Legge di Bilancio 2026.
Come funziona oggi il TFR
Attualmente, il lavoratore dipendente può decidere tra due strade principali. La prima è quella di lasciare il TFR in azienda, dove viene rivalutato annualmente in base a un tasso fisso dell’1,5% più il 75% dell’inflazione. Questo sistema garantisce una certa sicurezza, ma non offre rendimenti particolarmente elevati.
La seconda opzione è versarlo in un fondo pensione, cioè uno strumento di previdenza complementare gestito da società specializzate, dove le somme vengono investite sui mercati finanziari. In questo caso, l’importo può crescere nel tempo grazie ai rendimenti (con il vantaggio della tassazione agevolata) ma comporta anche un grado di rischio, seppur contenuto.
Chi sceglie il fondo pensione può aderire a tre tipi di strumenti:
- Fondi chiusi o negoziali, legati a specifiche categorie professionali o settori;
- Fondi aperti, accessibili a chiunque;
- Piani individuali pensionistici (PIP), offerti da compagnie assicurative o banche.
Inoltre, il lavoratore può contribuire anche in modo volontario con versamenti aggiuntivi, beneficiando di agevolazioni fiscali sui contributi fino a un tetto massimo stabilito dalla legge.
Cosa cambierebbe per i nuovi assunti dal 2026
Se la misura dovesse entrare in vigore, i lavoratori che inizieranno un nuovo impiego dal 2026 non avranno più la possibilità di mantenere il TFR in azienda. L’intero ammontare verrebbe automaticamente destinato a un fondo pensione.
In questo scenario, l’adesione diventerebbe automatica, ma non è escluso che venga introdotto un meccanismo di “opt-out” – cioè la possibilità per il lavoratore di rinunciare entro un certo periodo, come avviene in altri Paesi europei.
Per le imprese, invece, la misura avrebbe un impatto economico rilevante. Attualmente, infatti, trattenere il TFR in azienda rappresenta una forma di autofinanziamento. Con il versamento obbligatorio ai fondi, le aziende perderebbero questa liquidità, che verrebbe spostata verso il sistema previdenziale privato.
Vantaggi e criticità di questa possibile riforma
Da un lato, la proposta potrebbe aiutare i lavoratori a costruire un futuro più solido dal punto di vista pensionistico. In un Paese dove le pensioni pubbliche si prospettano sempre più leggere rispetto agli stipendi, accumulare un “secondo pilastro” previdenziale è sicuramente una scelta lungimirante.
Dall’altro, non mancano le perplessità. Non tutti i lavoratori hanno la stessa stabilità economica, e vincolare il TFR in un fondo pensione significa rinunciare a una liquidità immediata, che molti oggi preferiscono mantenere per gestire spese impreviste o progetti personali.
Inoltre, il rendimento dei fondi pensione dipende dai mercati: sebbene le performance storiche siano in media positive, non si tratta di strumenti privi di rischio. Per questo motivo, la trasparenza e l’educazione finanziaria diventano elementi centrali per aiutare i lavoratori a compiere scelte consapevoli.
Questa possibile novità si inserisce in un contesto lavorativo in continua evoluzione, dove la mobilità è sempre più frequente e le carriere sono meno lineari rispetto al passato. Chi cambia spesso lavoro, ad esempio, potrebbe trovarsi con piccoli montanti distribuiti tra diversi fondi pensione: un aspetto che richiederà una gestione più attenta.